Pubblichiamo di seguito questa intervista-dialogo esclusiva/o con la sen. Leana Pignedoli (Pd) a proposito della riforma costituzionale e del referendum a cui presto saremo chiamati a partecipare per esprimere consenso o dissenso. Naturalmente proporremo anche voci di diversa posizione.
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Che importanza dà a questo referendum costituzionale? E’ davvero cruciale, come da più parti si sostiene, o è solo un po’ “drammatizzato” da qualche “guastafeste”?
Tutti siamo d’accordo nel dire che abbiamo un sistema parlamentare inefficiente, troppo lento nel decidere. Un sistema istituzionale previsto dalla seconda parte della Costituzione sulla quale gli stessi padri costituenti avevano espresso dubbi a partire dal presidente della Commissione Meuccio Ruini. Del resto da oltre trent’anni, dal 1983, si tenta di superare un sistema parlamentare che ha creato instabilità e lentezze. Ci furono molti tentativi di proposte di riforma, da Speroni a Nilde Iotti e De Mita, da D’Alema e Berlusconi a Violante. Tutti tentativi falliti per accordi politici non raggiunti. Ora, per la prima volta dal dopoguerra, siamo riusciti a terminare l’iter in Parlamento. Dopo 6 letture parlamentari, 143 sedute di aula e commissioni, 3600 interventi dei parlamentari, l’esame di oltre 5000 emendamenti (alla Costituente ne presentarono 700!) si è arrivati ad una riforma che cancella il bicameralismo paritario, cioè non più due camere parlamentari che fanno la stessa cosa. In un paese che da anni fatica a crescere, rendere le istituzioni e i percorsi parlamentari più efficienti, sì, è un punto cruciale.
Qual è la sua valutazione complessiva e sintetica – spassionata per quel che può/vuole, dato che è senatrice in carica del maggior partito della maggioranza che l’ha voluta e la sostiene – su questa “riformona” che verrebbe a cambiare più di 1/3 degli articoli della Costituzione vigente?
Io dico che si possono avere opinioni differenti nel merito di alcuni punti della riforma, ma sono molto convinta della sua utilità. Finalmente si affida ad una sola Camera l’iter di una legge, con tempi certi di decisione. Anche in questa legislatura sto vivendo in diretta il danno provocato da questo sistema. Faccio un esempio in tempo reale: la legge più importante che abbiamo appena portato a termine per il mondo agricolo, con il sistema cosiddetto della navetta “Senato-Camera-Senato”, ha impiegato tre anni per essere approvata! Potrei fare un elenco lunghissimo di iter simili. Può questo essere un sistema adeguato ad un paese moderno? Mi convince, poi, la parte della riforma che elimina il Cnel, un organismo fuori dal tempo, che in oltre 50 anni ha emesso appena 2 pareri l’anno (!) ma in compenso costa allo Stato 20 milioni di euro annui. Indispensabile la parte che modifica il titolo V, che chiarisce quali sono le competenze dello Stato e delle Regioni e ne riequilibra i rapporti eliminando la confusione di competenze che ha originato infiniti ricorsi alla Corte costituzionale. Riduciamo (e non è l’ultimo aspetto della riforma) il numero dei parlamentari: si passa da 945 a 730 (di cui 100 non retribuiti con ulteriori indennità oltre a quelle già percepite in qualità di sindaco o consigliere regionale) andando incontro alla forte domanda di riduzione della rappresentanza parlamentare e il contenimento dei costi della politica. Portiamo il nostro Paese a numeri più “europei”. Quale partito politico in questi anni non l’ha sostenuto in campagna elettorale? Ora c’è l’occasione per farlo concretamente. Infine, è una riforma che aumenta la partecipazione dei cittadini: da un lato con quorum più bassi per i referendum e dall’altro con la certezza di valutazione delle proposte di legge di iniziativa dei cittadini. Oggi non è così. In tutti questi anni sono solo 5 le proposte di legge di iniziativa popolare discusse dal Parlamento.
Si dice – e l’ha già dichiarato anche lei – che con questo referendum si vuole disegnare una democrazia più “decidente”, più veloce, più adeguata a come gira il mondo moderno. Ma come considera il problema (oggettivo) di garantire la governabilità rispetto a quello (altrettanto e forse anche più sacrosanto) della rappresentanza, considerato che, in combinata con la nuova legge elettorale (se tale rimarrà), il cosiddetto “Italicum”, potrà accadere che un partito del 25-30% dopo il ballottaggio avrà una corposa maggioranza assicurata, con tanti nominati alla Camera fedeli, che rischierà, se di sostegno ad un presidente del consiglio “forte”, di ridursi a semplice votificio, svilendo il ruolo del Parlamento, finora vero baricentro della nostra Repubblica (seppure da anni purtroppo calante, come dicono alcuni, dato il ricorso ormai sproporzionato a voti di fiducia e quindi con discussioni anche su temi importanti spesso quasi o del tutto impedite)?
Per la verità è proprio il Parlamento di oggi che può essere definito un “votificio” di leggi, visto che 8 provvedimenti su 10 sono di iniziativa del governo. Questo è giustificato dal fatto che i percorsi dei disegni di legge ordinari hanno tempi biblici, inadeguati alle emergenze del Paese, ed è questo che ha svuotato l’autorevolezza del Parlamento. Se si vuole riportare il Parlamento ad essere baricentro della nostra Repubblica non basta scriverlo in Costituzione, bisogna creare le condizioni perché ci sia un organo legislativo che approfondisca il merito dei temi, in tempi certi e non si dilunghi in riti identici. Così come penso serva un Parlamento autorevole perché più efficiente, altrettanto penso che questo paese abbia bisogno di un governo in grado di governare. Questo è l’obiettivo della legge elettorale e della riforma insieme. Il nostro problema da anni è l’inconcludenza, che ha creato sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il discredito della politica viene dalla mancata coerenza nell’attuazione, nella distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa, nella mancata individuazione di chi ha responsabilità. Io dico che una legge elettorale che dà la possibilità di indicare subito un partito di maggioranza, che indica per la guida del governo il proprio leader, è un elemento di prezioso di stabilità e di responsabilità. Germania, Francia, Spagna, Regno Unito sono paesi in cui il ruolo del premier è certamente più forte che in Italia. Non credo si stia parlando di paesi prossimi ad una dittatura. La cosa che mi stupisce è perché non ci preoccupiamo del contrario, perché non ci preoccupiamo che nel nostro Paese dal 1948, in 68 anni, si siano susseguiti ben 60 governi! Questo significa rispettare il diritto dei cittadini che hanno votato? È democrazia?
Il fattore “prestismo” (“fare presto”) dell’iter decisionale se rischia di non permettere, o comunque comprimere, un adeguato e libero confronto delle idee di tutti, maggioranza e opposizione, dando quindi il tempo necessario a che ciò possa esplicarsi, si può davvero considerare un miglioramento della funzione, della qualità delle istituzioni e del funzionamento della nostra democrazia, a suo parere? C’è chi ricorda che questo bistrattato bicameralismo perfetto non ha impedito di essere rapidissimi ad approvare ad esempio la legge Fornero: solo 19 giorni… Il problema, cioè, non risiede piuttosto negli uomini invece che, come si tende oggi a far credere, nell’istituzione in sè?
I tempi della discussione vengono ridotti perché si fa uso dei decreti legge che hanno 60 giorni per essere approvati. Si comprime in 60 giorni l’intero iter: la discussione nella commissione di merito, l’acquisizione dei pareri delle altre commissioni, il parere della commissione bilancio, approvare gli emendamenti e poi passare in aula con la discussione generale e la votazione di nuovi emendamenti. Il voto finale in aula che, però, non è un punto di arrivo, ma di partenza per l’altro ramo del Parlamento che deve ridiscutere la legge in modo identico a quanto già avvenuto nella prima camera, con tutto l’intero percorso. Se una sola parola viene modificata, ritorna alla camera precedente per una terza lettura che ripete l’intero iter. Se non si contingentano i tempi con la forzatura di decreti legge e fiducie questo processo è fuori da questo tempo e da quelli normali della società. L’esempio fatto, la riforma Fornero, è molto calzante, ma per dimostrare e confermare quello che sto dicendo. L’iter è stato veloce perché appunto era dentro un decreto legge, il “Salva Italia”. Esso rappresenta, inoltre, un record storico di velocità perché, come si ricorderà, in quel dicembre 2011 si paventava la possibilità di fallimento del Paese con lo spread che superò i 525 punti. Era l’emergenza delle emergenze.
Il Senato, al di là delle semplificazioni un po’ populiste, non viene abolito, viene solo cambiato, seppure in modo profondo (vedi il caso delle province, “abolite” ma sempre lì, solo “geneticamente” modificate) e i rapporti con le altre istituzioni paiono un po’ ingarbugliarsi rispetto ad ora (vedi la formulazione da azzeccagarbugli dell’art. 70, ma non solo quello). I risparmi di denaro non paiono così sostanziosi come viene detto e comunque c’è chi sostiene che se il problema fosse quello allora non si capisce perchè non tagliare, ad esempio, anche una bella fetta di deputati e tanto altro (stipendi eccessivi, ecc.)… Cosa pensa di questi rilievi?
Il Senato viene abolito nella forma che ha oggi. Non è una copia di quello attuale in forma ridotta. Sarà un’altra cosa, con altre funzioni. Si passerà da 315 senatori a 100 di cui 21 sindaci e 74 consiglieri regionali (+ 5 eletti dal presidente della Repubblica) scelti dai cittadini, che non percepiranno indennità dallo Stato, ma dai loro enti di provenienza. Saranno i rappresentanti dei loro territori in Senato e potranno incidere sulla formazione delle leggi che riguardano gli enti locali e non solo dare un parere finale a cose fatte. Io ritengo potrà essere utile, molti paesi hanno la camera degli enti locali. Se mi si chiede se sarà facile impostare quel lavoro rispondo assolutamente no, bisogna entrare in una nuova visione del modo di governare, ma lo trovo un tentativo serio di raccordare comuni, regioni e stato centrale, regioni e Unione europea; può essere un salto qualitativo del lavoro delle istituzioni. Da anni, anche nei nostri territori, non facciamo che parlare di fare “rete”, ma se lo Stato e le amministrazioni locali sono i primi a non farlo adeguatamente c’è un problema, e con questa riforma si imposta un sistema di coordinamento. La riduzione dei costi ci sarà non solo perché si riducono il numero dei parlamentari ma anche perché cambierà totalmente la struttura amministrativa del Senato. Si ridurranno apparati tecnici. Per esempio: il Senato ha 12 palazzi in gestione oltre a Palazzo Madama: saranno più che dimezzati. Il risparmio sarà evidente sia in termini di personale che nella amministrazione. Perché non si sono diminuiti i parlamentari in tutte e due le Camere in modo uguale? Perché qui si è fatta una scelta netta di funzioni diverse nelle due Camere, non di percentuali matematiche. Si è deciso di dare ad una sola Camera il ruolo di rappresentanza della Nazione, una sola che dà la fiducia al governo e per questo deve avere una rappresentanza proporzionata.
Circa poi la stabilità degli esecutivi: non le pare che – la esprimiamo in battuta, ma prenda il senso – la maggiore stabilità ce l’hanno i regimi autoritari? L’attuale inquilino di Palazzo Chigi ha ripetuto che i poteri del governo non vengono toccati nè in più nè in meno. Vero, però – dicono i soliti “gufi” – l’asserzione non è completa, non si dice tutta: perchè se diminuisci nella sostanza quelli di chi ti sta intorno il risultato è quello: di aumentare de facto il peso dell’esecutivo “che non viene toccato”. Se si considera quindi che – sempre che l'”Italicum” attuale diventi la nuova legge elettorale – il governo potrà dunque disporre di un potere maggiore, non crede che possa configurarsi uno sbilanciamento rischioso nella delicatissima interconnessione delle attività di legislatori, ministri e giudici? Non è che il potere esecutivo, emanazione teorica della maggioranza del Parlamento che è preposto al suo controllo, non prenderà di fatto il suo posto, divenendone il controllore, con tutto ciò che ne consegue (il Parlamento – leggi: chi dirige il governo – poi potrà “sistemare” il potere giudiziario, la Corte costituzionale, la presidenza della Repubblica…)? Sono timori che serpeggiano… che i famosi “contrappesi” perdano sostanza… Tutte cose senza fondamento? E poi: se le elezioni con l’Italicum determinano un partito ed un collegato candidato presidente del consiglio vincente, che così il popolo legittima direttamente come tale, che fine fa il potere che ha oggi il presidente della Repubblica di sceglierlo e nominarlo lui, il capo del governo (attuale art. 92), senza passare da una norma specifica (costituzionale)?
Io credo che la stabilità di governo sia un diritto dei cittadini che hanno votato i propri rappresentanti. Sia la legge elettorale che la riforma puntano a dare una maggiore stabilità di governo, il che significa poter fare scelte strutturali vere, quelle che servono a cambiare il paese per i prossimi decenni e non per le prossime elezioni. A questo serve la stabilità. Per quanto riguarda i cosiddetti contrappesi, con questa riforma aumentano le garanzie, non diminuiscono! Per eleggere il presidente della Repubblica serviranno nei primi scrutini i 2/3 dell’assemblea, poi i 3/5 dei votanti. Percentuale che la maggioranza da sola non avrà mai. Questo significa che l’elezione del presidente dovrà essere condivisa con le forze di opposizione. Così sarà per l’elezione del Consiglio superiore della magistratura. Il premier non potrà mai decidere solo con la sua maggioranza le più alte cariche dello Stato e degli organi di giustizia. Le garanzie per la democrazia aumentano.
Alcuni governanti ultimamente si sono “sbilanciati”: oltre a provare a procedere alla famosa “spersonalizzazione”, per cercare di ridurre i “no” a chi ha anche detto che se non passa si ritira a vita privata indipendentemente da cosa si va a votare, si sente che “sì, forse la riforma non è perfetta, si poteva scrivere meglio… magari se passerà poi si farà qualche opportuna modifica…”. Ma è uno scherzo o cosa?
Ma io non parlerei con allusioni di “alcuni governanti”… Andrei diretta: Renzi ha sbagliato a personalizzare e a legare a sè questa riforma, ancor più a paventare l’idea di lasciare la politica. Quest’ultimo è un problema solo suo. La riforma riguarda il futuro del Paese, non di Renzi. Non deve scandalizzare se si parla di riforma perfettibile. Lo disse lo stesso Dossetti parlando dei propri dubbi in merito alla seconda parte della Costituzione pur essendo in corso di approvazione. La modifica della carta Costituzionale, dopo quasi 70 anni, è un processo complesso. In questa riforma si tengono saldi i valori contenuti nella prima parte della Costituzione, quelli fondanti per la nostra Repubblica, ma si cerca di adeguare la seconda parte, quella che definisce l’organizzazione delle istituzioni, adeguandola all’evolversi del sistema istituzionale. La Costituzione, per esempio, è nata quando non c’era ancora l’Unione europea, non c’era il sistema delle Regioni, non può rimanere immobile, è cambiato profondamente il contesto. È’ complessa perché ci sono punti di vista diversi. Renzi stesso aveva proposto un’altra riforma; pensava, ad esempio, ad un Senato di sindaci. Il Parlamento l’ha cambiata, ha bocciato la sua proposta. Questo è il punto di mediazione a cui si è arrivati. Bisogna decidere se vogliamo far fallire ancora una volta il tentativo di riformarci o se accettiamo questa sfida. La legge elettorale ha un suo percorso separato, ma è stato giusto discuterlo in parallelo perché le due cose si intrecciano. Ci sono modifiche che si possono ancora fare? Si provi ad approfondire ulteriormente. Capisco i dubbi sull’idea del premio di maggioranza ad un solo partito anziché alla coalizione, ma faccio presente che le coalizioni in questo paese non sono mai riuscite a creare stabilità. Le coalizioni vanno bene per vincere le elezioni, ma non per governare. Ho vissuto in diretta l’ultimo governo Prodi: 14 partiti tenuti insieme da un accordo molto dettagliato in un plico di 240 pagine. Nonostante questo, ogni mattina, un partito della coalizione si alzava e poneva al governo condizioni di ricatto bloccando l’attività parlamentare. Infatti ebbe due anni di vita, non di più. Credo possa essere ulteriormente approfondito questo tema ma non si prenda come alibi per non votare la riforma.
Come donna da sempre di sinistra, che impressione le fa notare la spaccatura prodotta dal quesito su cui ci si andrà ad esprimere in associazioni come l’Anpi o la Cgil, storicamente legate a quell’area (per non dire nello stesso Pd)?
Naturalmente vivo male queste spaccature. Non condivido ma comprendo quando le posizioni contrarie alla riforma sono dettate dalla paura di disperdere quei valori della Costituzione, quel patrimonio così faticosamente conquistato. Mi prende invece una grande rabbia quando intravvedo delle posizioni nate da voglia di protagonismi personali, rancori o battaglie che esulano dal merito della riforma. Oggi ci vuole un grande senso di responsabilità, siamo ad un momento di grande difficoltà e abbiamo la possibilità concreta di fare un cambiamento e non solo di parlarne.
Come riflessioni conclusive cosa vorrebbe dire?
In conclusione dico che non ripongo in questa riforma effetti miracolosi, ma certamente poniamo le condizioni per istituzioni più efficienti, governi più stabili, maggiore semplificazione, più risparmi. È un passaggio decisivo e io mi auguro che ognuno si senta in dovere di entrare nel merito della proposta, di comprendere i contenuti reali della riforma. Insomma dovremmo essere di nuovo “costituenti”, di questo ha bisogno il Paese, di andare oltre i rancori, oltre le rivalse.
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