Non molte persone ma incontro interessante, sulla “mafia al nord”, promosso dal distretto Coop Nordemilia. Benedetta Salsi, giornalista del “Carlino” modera un incontro a due: da una parte il sindaco castelnovese Enrico Bini e dall’altro Vittorio Mete, sociologo, insegnante e scrittore (nell’occasione presenta appunto un suo libro dedicato all’argomento).
E’ il secondo incontro a distanza di pochi giorni che fa tappa nel capoluogo montano, sempre nella sala consiliare.
Com’è arrivata la mafia a Reggio? Si può riconoscere? S’è preso finalmente coscienza della sua presenza? Quali le possibili contromisure? I due interlocutori, mediati e interrogati, propongono la loro visuale. Da studioso Mete, da “esperto sul campo” Bini.
“Il fenomeno migratorio data dall’ultimo dopoguerra. Ma per una presenza stabile tutto comincia a cavallo degli anni ’50-’60, quando un gruppo di muratori calabresi viene a lavorare a Reggio dietro ad una ditta di Treviglio, di cui erano dipendenti, che aveva vinto un grosso appalto che garantiva lavoro in città per anni”. Poi arriva, col 1982, Antonio Dragone, in soggiorno obbligato. “In una città dall’amministrazione stabilmente ‘rossa’ come Reggio la classe sociale di questi nuovi venuti fece gioco e favorì l’instaurarsi di reti di integrazione e di scambi coi loro luoghi di origine, col crotonese in particolare, che della Calabria era il corrispettivo ‘cuore rosso'”. Omogeneità politica, dunque, rileva Mete.
Si accenna ai famosi “anticorpi” di questa terra “sana” contro i pericoli di infiltrazioni criminali. Beh, gli anticorpi, se c’erano, forse sono stati abilmente aggirati – anche per oggettive responsabilità di locali – visto che la stessa antimafia ora non usa più questo termine – “infiltrazioni” – ma preferisce quello più pesante di “radicamento”. Che qualcosa non abbia “funzionato a dovere” lo esprime poi anche, in chiusura di serata, nel momento dedicato agli interventi del pubblico, Rosanna Bacci, presidente della Cooperativa “Il Ginepro”.
Enrico Bini sottolinea l’importante lavoro compiuto dallo stimato prefetto Antonella De Miro (come si sa spostata a Perugia), che nel suo periodo di servizio a Reggio ha preso decisamente in mano la situazione e, in particolare con lo strumento delle “interdittive”, ha contribuito a dare un colpo economico alle mafie (orecchio da cui “sentono” in modo particolare) ma anche ad aprire troppi occhi ancora forse un po’ velati.
“Ho conosciuto il fenomeno quando lavoravo come camionista in Transcoop: vedevo i roghi… i lavori che ci sfuggivano sempre più per via dei prezzi stracciati praticati da certe ditte… erano i tempi in cui si cominciava con la Tav”, ha detto il primo cittadino. Che non si è esonerato dal riprendere le critiche contro quegli amministratori locali – in particolare il sindaco di Brescello – che legittimano di fatto la presenza mafiosa con parole non consone. Per Mete il caso del comune di Peppone e Don Camillo è emblematico: sostiene che se fosse stato geograficamente situato altrove (nel meridione, ad esempio) probabilmente sarebbe già stato sciolto…
“Temo – aggiunge Bini – che nonostante tutto ancora non stiamo facendo i conti fino in fondo con noi stessi”. “Nel nostro comune il massimo ribasso non si fa, cerchiamo di far lavorare le ditte locali, ma molti continuano ad usare questo sistema nell’assegnare appalti. E’ calata la tensione etica, la legalità”. Questo il motivo per cui contro il fenomeno mafioso – che è “violenza e relazioni sociali”, non solo quindi problema di ordine pubblico, come ripete Mete – è importante che sia tutto il tessuto sociale ad impegnarsi e ad erigere una barriera.
Vengono toccati altri aspetti tecnici (come “funzionano” le ‘ndrine qui da noi, come vengono impiegate certe persone chiamate in “operazioni di recupero crediti”, ad esempio) e forse sarebbe stata utile, questa parte in specie, come lezione didattica per un pubblico che la serata avrebbe meritato più numeroso.
“No alla facile semplificazione di un fenomeno che ad essa abilmente sfugge”, è un concetto ripreso spesso durante la serata.
“Soluzioni?”, chiede infine la Salsi. Nella sostanza – dice Mete – si tratta riconoscere il problema, come inizio della guarigione. Già, ma a che punto siamo, noi reggiani (ma la platea si potrebbe allargare), in questo percorso di consapevolezza?
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(Fotografie di Eros Tamburini)